28 aprile 2012

Venerdi 18 maggio Bitch Party c/o Barrumba a Pinarella di Cervia. Live Il Pan Del Diavolo (opening act by Jocelyn Pulsar)

Venerdi 18 maggio Retro Pop - Queens - (Qualcosina)² - Party'n Stazione presentano BITCH PARTY c/o Barrumba a Pinarella di Cervia.
Pazzesca la serata appena passata assieme, pazzesca la carica che c'era nell'aria sia per il live sia per il party, appunto per questo vogliamo ringraziarvi per questo fantastico evento che abbiamo appena trascorso tutti assieme.

Tenetevi pronti perché venerdi 18 maggio ritorna Bitch Party al Barrumba, l'unico club che si trova sopra la spiaggia e sotto le stelle! Sul palco suoneranno i Pan Del Diavolo per presentare il loro nuovo album, opening act by Jocelyn Pulsar (Garrincha Dischi). Il party post live già lo conoscete e vi consigliamo di non perderlo.


Trovate le prevendite del concerto IL PAN DEL DIAVOLO nei punti vendita Vivaticket o direttamente in questo link:
http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg[evento]&id_evento=867413

Dj's Piero Emme - Matteo Bocca - Lappa - Elio - Ifter
Ore 22.00 apertura porte ore 22.30 Inizio concerti ore 00.30 Inizio Bitch Party

Bitch Party é una serie di eventi che si ripeterà al Barrumba nel corso della primavera e estate 2012
Per info 339-2140806
Per info navette salvapatente 3478978939
http://www.facebook.com/btchprty
Barrumba Pinarella di Cervia via Emilia, 125

Bio Il Pan Del Diavolo:
Il gruppo nasce a Palermo nel 2006 e nel 2008 vince il concorso Italia Wave Sicilia. Nel 2009 con l'uscita del primo Ep omonimo chiudono un tour di 80 concerti che presenta la band al pubblico nazionale. Il 15 gennaio 2010 esce l'album "Sono all'osso" per la Tempesta dischi, ottimamente accolto dalla critica . L'album è finalista del Premio Tenco nella sezione" migliore opera prima". La band ha attualmente all'attivo più di 200 concerti e il 3 aprile 2012 pubblicherà il secondo album "Piombo, Polvere e Carbone" sempre per Tempesta dischi. Bio Jocelyn Pulsar Jocelyn Pulsar nasce nel 2001 come gruppo ma col tempo si trasforma nel progetto solista di Francesco Pizzinelli; il primo disco è del 2003, ancora in formazione a 3 (LA MIA VELOCITA'), quindi il primo vero disco "in proprio" è L' AMORE AL TEMPO DEL TELEFONO FISSO del 2006. Seguiranno COSA FISCHIETTA L' ARTISTA VERO (2007) e PENSO A SONIA MA SUONO PER LA GLORIA (2008), tutti usciti con l' etichetta emiliana Agos Music e distribuiti attraverso la piattaforma digitale Believe. Nel 2010 Jocelyn Pulsar torna in studio e registra il nuovo disco: IL GRUPPO SPALLA NON FA IL SOUNDCHECK è registrato al Mush Room studio di Aviano (Pordenone) con la produzione di Enrico Berto; il disco esce a fine Aprile ed ottiene subito una buona accoglienza (Il Mucchio, Blow Up, Rockerilla, Beat Magazine, ItalianEmbassy, RollingStone). Successivamente J.P. partecipa ad alcune compilation, tra le quali IL NATALE (NON) E' REALE e IL CANTANOVANTA, assieme ad alcuni dei più importanti nomi della scena indipendente italiana. Contemportaneamente torna in studio: il nuovo disco, ancora senza titolo, uscirà il 9 Marzo 2012 per la label bolognese Garrincha Dischi

18 aprile 2012

Colapesce live martedi 24 aprile al Barrumba, scorgere la bellezza nel declino, intervista a cura di Ilaria Virgili



Articolo tratto da: http://www.dissonanzegiornale.it/blog/2012/04/18/intervista-a-colapesce/

Un disco raffinato.
Curato negli arrangiamenti, dotato di un piglio cantautorale molto personale.
Una storia attuale, raccontata a tratti con immediato realismo, a tratti con suggestive metafore.

Questo, con immeritata brevità, è “Un Meraviglioso Declino”, il promettente esordio solista di Lorenzo Urciullo con il nome di Colapesce.
Un album articolato, la cui affascinante ricchezza induce il desiderio di poter sperimentare la sua resa dal vivo; un bisogno che trova risposta nel tour che sta portando Colapesce su e giù per lo stivale, e che il prossimo 24 aprile farà tappa anche al Barrumba di Pinarella di Cervia (RA) per il Lungomare Festival.
In occasione dell’evento, organizzato da Retro Pop in collaborazione con Queens, (Qualcosina)², Party’n Stazione e Monogawa Back to Gawa, Colapesce si alternerà sul palco con Saluti da Saturno e Zen Circus.

E a poco meno di una settimana dal concerto, abbiamo scambiato qualche battuta con Lorenzo.
Ecco cosa è emerso.



Considerate le tue esperienze musicali precedenti, cosa hai cercato e trovato nel progetto Colapesce che ti mancava? Cosa hai voluto sperimentare?

Rispetto ad Albanopower, che è il progetto precedente, la differenza principale è la lingua. Sono passato dall’inglese all’italiano, e mi sono potuto mettere alla prova con la forma canzone, che per me era una nuova esperienza rispetto al rock strumentale. Così ho avuto la possibilità di imparare piano piano l’utilizzo della metrica, trovando un giusto equilibrio metrico-semantico che mi appagasse.

Questa la differenza sostanziale col passato che ho trovato in Colapesce, e che considero molto più stimolante rispetto a ciò che facevo prima: ora lavoro sia sul lato musicale, componendo io interamente le canzoni, sia sul lato testuale, sperimentando e mettendo a frutto esperienze e sensazioni di vita personale, anche letterarie, avendo io fatto studi umanistici.

Con questo progetto ho modo di sperimentare all’interno di quella che comunque rimane una forma classica, che è la forma canzone tradizionale.



Ti sei trovato a tuo agio in questa nuova veste?

Ora sì, ma all’inizio è stata dura.
Ho fatto svariate prove, per due anni circa. Non è stato semplice imparare. Non ero mai soddisfatto di quello che scrivevo, delle composizioni musicali.
Ci ho messo un po’ per mettere a frutto una formula appagante.



L’ascolto del disco rivela una grande cura degli arrangiamenti. Anche su questi lavori da solo, o ti sei fatto aiutare?

In realtà porto i provini in sala d’incisione con le idee abbastanza chiare. Essendo un mezzo polistrumentista, ho una visione abbastanza chiara dell’arrangiamento già prima di entrare in studio. Però mi sono avvalso di due persone che suonavano con me negli Albanopower, e con le quali suono da 10 anni: Toti Valente e Giuseppe Sindona, basso e batteria.
Siamo una grande famiglia, e siamo molto in sintonia da questo punto di vista, quindi loro hanno dato un grandissimo apporto, sia in studio che dal vivo.



Il nome che hai scelto per questo progetto è quello del protagonista della leggenda di Colapesce, un racconto strettamente legato alla tua terra.
Che cosa ti affascinò della leggenda e cosa ti rispecchia tanto da aver scelto questo nome?

Sono legato alla leggenda per più motivi. In primis, mia madre da piccolo mi raccontava spesso le gesta di Colapesce; inoltre si tratta di una leggenda ambientata in Sicilia, la mia terra.
Ci sono circa 20 versioni della leggende. Una addirittura ha origini greche, e vuole Colapesce padre delle sirene.

Poi l’ulteriore motivazione riguarda il significato del racconto, che è molto forte, e la metafora che sottende mi sembrava adatta e attualissima: Colapesce sacrifica la propria vita per reggere la terra che ama, compiendo un atto di amore immenso.



Venendo al videoclip di “Restiamo in casa“, mi spieghi com’è nata l’idea dell’astronauta, dell’assenza di gravità? Tra l’altro ho letto che hai lavorato in stretta sinergia col regista, Michele Bernardi.

Io ho scritto la sceneggiatura del video, e Michele Bernardi l’ha animata, dandomi ottime soluzioni dal punto di vista tecnico, perché avevo scritto una sceneggiatura esagerata, onerosa a livello di costi e che avrebbe richiesto mesi di lavorazione.

Il video è questa sorta di sogno, vissuto dai due ragazzi. Un discorso che torna spesso all’interno del disco: due giovani in questa sorta di declino post-universitario, precari, che vivono la loro vicenda d’amore con alti e bassi. Anche su “S’illumina” ci sono riferimenti chiari, di questo tipo.

L’unico brano differente che si discosta dal discorso sui due giovani è “Bogotà“, perché è più autobiografico, e parla del rapporto con mio fratello.



Cosa c’è di tanto bello nel declino da renderlo meraviglioso?

Questo titolo mi sembrava un ossimoro forte e provocatorio: è stata una scelta volutamente ossimorica.
C’è una parte meravigliosa del declino che sta vivendo l’Italia e buona parte dell’Occidente: sono le persone che hanno ancora voglia di fare qualcosa, che credono e che amano.
E anche noi, che facciamo questo tipo di lavoro, rendiamo il declino meno schifoso.



Chi sono i barbari che citi nella canzone che li porta nel titolo (ottava traccia del disco)?

Il testo è abbastanza esplicito: «muniti di lauree», «si nutrono dei tuoi fallimenti».
Ci possiamo mettere dentro una buona parte della classe politica italiana, o anche neolaureati di estrazione borghese, che parlano di rivolta con tanta ipocrisia.

Parte del testo è stata ispirata da un film: “Society” di Brian Yuzna, una pellicola trash americana di fine anni ’80, realizzata appunto da questo regista minore di b-movie, che in questo caso ha fatto un capolavoro.
Brevemente, racconta le vicende di una famiglia aristocratica che una volta al mese si riunisce con altre famiglie altolocate, per poi divorare un cittadino comune. Uno dei figli di questa famiglia si accorge dei riti che compiono i suoi familiari, si ribella e così nasce la contestazione. Tra l’altro tutti i componenti della famiglia sono biondi con gli occhi azzurri, mentre il protagonista è l’unico scuro, basso: una connotazione decisamente chiara.
Si tratta comunque di un b-movie, ma è bello dal punto di vista metaforico.



Visione del film consigliata!

Sì, sì: consigliato!





Consigliato l’ascolto del disco, consigliata la partecipazione al concerto.
Con occhi aperti e orecchie tese, ci vediamo lì.

16 aprile 2012

Saluti da Saturno live 24 aprile al Barrumba , cartoline da Valdazze: l’intervista a Mirco Mariani a cura di Ilaria Virgili



Articolo tratto da
http://www.dissonanzegiornale.it/blog/2012/04/12/saluti-da-saturno-cartoline-da-valdazze-lintervista-a-mirco-mariani/


Avete presente le cartoline, in particolare quelle divise in quattro quadranti, con la scritta «Saluti da…» fissata in un angolo e i colori brillanti?
Tanti di questi saluti illustrati ho scarabocchiato nella mia infanzia alle Balze di Verghereto, paesino collocato alle pendici del Monte Fumaiolo, nelle vicinanze della sorgente del Tevere, per lungo tempo considerato da svariati romagnoli località di villeggiatura estiva ideale per fuggire dall’afa rivierasca.

Una località più che mai familiare, come quella scritta che si incontrava lungo la strada per raggiungerla, quando cominciava a salire e le curve si facevano sempre più nausenti. Un gruppetto di lettere realizzato su muretti e superfici varie con la vernice, accompagnato da una freccia: “Valdazze”.
Non sapevo dove portasse, mai seguii l’indicazione, ma rimase sempre un senso di mistero attorno a quella fantomatica destinazione. Fino a quando un singolare individuo con il suo collettivo musicale non decise di dedicarle un disco.

Ed è proprio con “Valdazze“, secondo album di Saluti da Saturno, che torna a farsi viva la scritta; che non è semplicemente tale. Valdazze è un insieme di case, voluto nel 1964 dal cavalier Giorgetti perché diventasse “il villaggio del cantante”: una località turistica che avrebbe accolto tutti i maggiori artisti dell’epoca, in vacanza. Ora abbandonata.
Un sogno mai completatamente realizzato, sospeso nel tempo e ora intercettato da questo sorprendente disco, che si rivela un inaspettato viaggio nei ricordi, nella spensieratezza di estati calde e piovose, trascorse a innamorarsi di tutto, a ripetere le stesse escursioni montanare senza smettere di sorprendersi, a giocare divertendosi con poco.

Un disco in cui gli strumenti rari e dimenticati sono attori principali di un canovaccio imprevedibile.

E ora che Mirco Mariani e i suoi Saluti da Saturno stanno arrivando al Barrumba di Pinarella di Cervia (RA) per rendere dal vivo questa passeggiata onirica – all’interno del Lungomare Festival previsto per il prossimo 24 aprile, organizzato da Retro Pop in collaborazione con Queens, (Qualcosina)², Party’n Stazione e Monogawa Back to Gawa – quale occasione migliore per approfondire le questioni appena accennate direttamente con lui?
Ecco com’è andata.



Da balzerana adottiva quale sono stata, la scritta “Valdazze” mi è più che mai familiare, benché rimanga solo una scritta.
A te quali ricordi evoca?

Incontrai la scritta per la prima volta quando facevo conservatorio. Andavo in corriera da San Piero in Bagno a Cesena, e ogni curva della provinciale era tappezzata con questa scritta di vernice bianca, Valdazze, e la freccia.
Così mi sembrava che ogni strada portasse a Valdazze, non a Roma.
Quindi mi è sempre rimasta la curiosità di capire cosa fosse questo luogo, fino a quando finalmente ci andai a fare un’escursione con un amico, e mi rimase un profondo senso di vuoto. Un senso di nulla rimasto per tanti anni latente, poi tornato fuori. Ha avuto una vera e propria incubazione, in seguito alla quale si è scatenata una canzone, poi un disco.



Il disco ti è stato utile per colmare quel senso di vuoto?

Il vuoto non si colma mai. E l’importante è non colmarlo!
Bisogna lasciarlo sempre mezzo pieno, perché se lo riempi, non ti inventi più niente.



Quanto è stato importante per la stesura del disco aver visitato Valdazze?

Il ricordo di Valdazze che avevo, risalente alla prima volta che ci andai, era di un paese deserto: non c’era nessuno, nemmeno una persona. Benché gli abitanti siano quattro, quel giorno non c’era nessuno. E questo è stato fondamentale, perché ho svariati ricordi di quella passeggiata col mio amico, ma quello basilare era dell’aria che camminava da sola per le stradine, in mezzo alle case.

Lo spunto perciò fu l’idea dell’aria che camminava; quindi il conseguente senso di abbandono e di nulla, dal quale si poteva costruire tutto. Questa è stata un po’ l’ispirazione. Anche il lasciarsi dondolare e trovare divertimento dalle cose minime.



Ho visto con piacere le immagini scattate durante la gita di gruppo a Valdazze. Da quella scampagnata sarebbe dovuto scaturire il videoclip di una canzone?

Noi siamo partiti con l’idea e la volontà di fare semplicemente una gita.
Poi abbiamo incontrato la tv svizzera, che ha fatto un video di 7 minuti di ottimo livello; poi c’era Rocklab che ha pubblicato qualche giorno fa due o tre video sulla gita; c’erano pure una radio di Milano, una scrittrice, e due ragazzi che hanno ripreso tutta la gita. Io ho 12 ore di girato, ma non ho voluto estrarre un video.
Io non sono tipo da videoclip, a 40 anni. Anche se qualche idea c’era, ma con così tanto materiale già uscito se ne è perso un po’ il senso. Quindi tutte le ore di girato rimarranno lì. Magari verranno recuperate tra qualche anno.



Nella videointervista pubblicata su Rolling Stone presenti l’arsenale dei tuoi strumenti rari con una passione tangibile. La mia domanda su questo fronte è duplice. Parto da questa: siete soddisfatti della resa live del disco? Riuscite a riprodurlo fedelmente?

Foto di Pietro Bondi

La resa live è migliore, perché io mi diverto di più a fare concerti piuttosto che fare il disco.
Anche se sono molto istintivo – caratteristica che mi ha accompagnato anche nella stesura di questo disco, durante la quale arrangiavo i brani da registrare il giorno stesso – il disco costringe a un certo rigore.
Perché il disco rimane, e non potevo fare il pazzo.

Invece dal vivo diamo sfogo alla nostra schizofrenia musicale, e riusciamo a essere imprevedibili. Addirittura a stupirci di noi stessi.

Questa è la cosa che in assoluto che più mi diverte e spererei proprio nel prossimo disco di riuscire a inserirla, perché è l’aspetto che più mi interessa in Saluti da Saturno.



L’altra questione sulla strumentazione è la seguente. Considerando la rarità dei tuoi strumenti, e la fatica che hai fatto a procurarti alcuni di questi esemplati, ti chiedo se abbiate paura che subiscano dei danni, nel traporto e per i concerti.

Degli strumenti che considero fondamentali, che sono mellotron, optigan e celesta, ne ho in più esemplari. Da questo tour che è appena iniziato – siamo alla terza, quarta data – pur non volendo, ha portato una modifica.

Io sono abbastanza estremista: o bianco o nero. Poi mi sono trovato a usare questi strumenti, registrarli e a fare il tentativo di evitare così di portarli sempre in giro.
Infatti è successo che questi strumenti mi abbandonassero e non riuscissi a finire il concerto: mi inventato sketch, situazioni ironiche, e molte persone pensavano che fossero siparietti preparati; invece era tutto improvvisato per nascondere il fatto che lo strumento non funzionasse più.

Quindi per il Valdazze Tour mi sto attrezzando, e sto finendo adesso questa messa a punto. A ciascun strumento sto facendo un lavoro ad hoc per poterlo risuonare in maniera virtuale. Una cosa che non amo, e non amo neppure dire, ma mi sono “venduto” alla tecnologia (la sofferenza nel pronunciare questa frase è difficile da comunicare, ndr). Perché può succedere che i vecchi strumenti, portati sul palco, si rovinano e basta. Sono strumenti che hanno una vita, una durata.



La ricercatezza della strumentazione di cui vi siete serviti per questo disco, e le atmosfere che riescono a creare, focalizzano l’attenzione sulla parte musicale del disco, suggerendo che questa abbia molta importanza. Eppure i testi non sembrano sfigurare.
Che pesi hanno avuto queste due componenti – musica e testi – nella stesura del disco?

Di musica potrei parlarti per giorni.

Sui testi invece faccio molta fatica.
La situazione è questa. Non ho grandi basi, grandi storie da raccontare: mi emoziono molto per le cose semplici. E le cose semplici possono sembrare banali, o anche molto difficili da fare: dipende dall’occhio di chi guarda. Io personalmente sono sempre andato alla ricerca della semplicità, e nei testi lo faccio per necessità. Mi baso su piccoli frammenti, e spesso e volentieri ci costruisco una storia. Che può essere vera, come inventata. Posso partire da un’altalena che sta affondando nel mare e andare da tutt’altra parte. Ecco, un aspetto fondamentale cui facevo riferimento anche prima è l’improvvisazione: l’essere sempre vittima dell’imprevisto. Nei testi invece mi piace mettere il sogno, un po’ alla Fellini.



Chiudo con una domanda didascalica: perché proprio Saluti da Saturno come nome del progetto, e perché Flexible Orchestra da Pianobar Futuristico Elettromeccanico come nome del collettivo?

Io volevo tornare da dove ero partito.

Ed ero partito suonando in un’orchestra a Cesenatico, in una balera di liscio. Poi ho fatto tanti anni jazz, da batterista, e dato che come dicevo prima, a me piace essere qui e essere anche per aria, volevo un ritorno alla base. Però la base non poteva essere proprio Cesenatico. Ma Cesenatico vista dall’alto, da una condizione di sogno. Come da una cartolina. E l’idea di unire questi discorsi con la cartolina venne a Roberto Greggi, il cantante che dà voce al disco precedente e a due pezzi in questo nuovo . Così nacque “Saluti da… Saturno”, ed era proprio ciò di cui avevo bisogno. Poi Saturno comunica malinconia, ed era una cosa che si collegava al concetto in tanti modi. Era l’ideale.

L’orchestra flexible è legata al disco che abbiam fatto prima.
Noi abbiamo creato una base, che è un trio: io, Marcello Monduzzi alla chitarra e Bruno Orioli alla voce. Però succede sempre che non siamo in trio, e il concetto di flexible sta proprio qui. L’altro giorno a Bologna c’era Grazia Verasani, una scrittrice molto brava, che ha fatto con noi uno spettacolo – ci intervistava, parlava, cantava. Oppure sabato a Torino c’era un amico attore, Roberto Alpi, che recitava la parte del tenore spagnolo. Il tutto assolutamente improvvisato. Quindi l’orchestra è flexible perché c’è sempre qualcosa di modellabile, che ci prende in contropiede.

Pianobar perché mi stanno antipatiche le “rockstar” tra virgolette: musicisti che diventano divi con un disco e mezzo. Mi piace mantenere un po’ di passo felpato. E il pianobar mi dà l’idea dei concerti senza transenne, così che si possa dare la mano a chi ti ascolta. Questo era il concetto che mi interessava di più: rendere partecipe anche l’ascoltatore.

Futuristico è un po’ il discorso che facevamo prima: Cesenatico è il punto di partenza e di arrivo, ma visto da Saturno; il sogno, e il dare il senso di imprevedibile. Cosa che mi riesce più dal vivo che su disco, ma spero che presto la parte futurista riesca ad atterrare in maniera più definitiva anche nel disco.
E l’elettromeccanico è legato agli strumenti elettromeccanici che usiamo, e che a volte non ci permettono di arrivare alla fine del concerto.

08 aprile 2012

Martedi 24 aprile Bitch Party c/o Barrumba a Pinarella di Cervia. In concerto Zen Circus + Colapesce + Saluti Da Saturno (Lungomare Festival)



Martedi 24 aprile
Retro Pop - Queens - (Qualcosina)² - Party'n Stazione presentano
BITCH PARTY c/o Barrumba a Pinarella di Cervia

Ci siamo appena ripresi dal party di inaugurazione di venerdi 6 aprile ed é gia ora di prepararsi ad un nuovo super evento.
Martedi 24 aprile ritorna Bitch Party al Barrumba, l'unico club che si trova sopra la spiaggia e sotto le stelle.

All'interno della serata Bitch Party ci sarà il Lungomare Festival composto dalla seguente line up:
Zen Circus + Colapesce + Saluti Da Saturno
In coll. con Monogawa Back To Gawa

Trovate le prevendite del Lungomare Festival nei rivenditori Vivaticket e in questo link:
http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg[evento]&id_evento=867542

Dj's Piero Emme - Matteo Bocca - Lappa - Elio - Marco Turci

Ore 20.30 apertura porte
ore 21.00 inizio Lungomare Festival
ore 00.30 Inizio Bitch Party

Bitch Party é una serie di eventi che si ripeterà al Barrumba nel corso della primavera e estate 2012

Per info 339-2140806
Per info navette salvapatente 3478978939
http://www.facebook.com/btchprty
Barrumba Pinarella di Cervia via Emilia, 125

Bio
THE ZEN CIRCUS
Nati per Subire - Busking Tour
marzo-aprile 2012
Periodo importante per la carriera ormai decennale degli Zen Circus. L'ultimo lavoro "Nati Per Subire" è stato il primo della loro carriera a restare per due settimane nella classifica Fimi ed il tour elettrico a seguito dell'album ha registrato numerosi sold-out nei migliori rock-club Italiani. Così dopo 25 date in tre mesi la band pisana si è fermata questo febbraio per riassestare il tutto ed organizzare il "Busking Tour": altri due mesi in giro per l'Italia, da marzo ad aprile, in versione stradaiola, elettro-acustica, arrabbiata.

"Ormai lo sapete quasi tutti: siamo nati come band di strada, dove abbiamo imparato a fare scempio degli strumenti acustici per ottenere la stessa intensità e lo stesso casino che si ottiene da quelli elettrici. Il "Busking Tour" si propone di sottolineare la nostra urgenza folk senza sacrificare un briciolo d'energia, anzi. I primi tre mesi di tour elettrico nei grandi club sono stati fantastici e ci hanno regalato molto, ci sembra ora giusto girovagare per due mesi in altri ambiti: dai locali fuori dalle rotte dei grandi tour ai teatri di provincia, dai club piccoli ma storici delle grandi città, alla passione di piccole associazioni che fanno la cultura del nostro territorio. E da maggio si ritorna all'aperto, ai festival, al tour elettrico. Vi aspettiamo." - The Zen Circus


BIO COLAPESCE
Lorenzo Urciullo non ama stare con le mani in mano: dopo un disco in inglese a nome Albanopower, un progetto ambizioso come Albanopumpkins (tributo italiano a “Mellon Collie & The Infinite Sadness”, il capolavoro degli Smashing Pumpkins, che ha avuto una discreta rilevanza internazionale, ricevendo anche l'apprezzamento di Billy Corgan) e il duo Santiago che con Alessandro Raina degli Amor Fou ha percorso in lungo e in largo l'Italia durante tutto il 2011, è arrivato il momento di Colapesce.

Anticipato da un EP pubblicato a maggio 2010 solo in digitale e poi ristampato a grandissima richiesta, “Un meraviglioso declino” sta facendo gridare al miracolo la critica e il pubblico. Ovunque si parla della rinascita di un nuovo cantautorato italiano figlio della tradizione ma che non si pone limiti e prova a guardare a quello che succede lontano dai nostri confini. Agli anni '70 riveduti e corretti da Wilco, John Grant e Fleet Foxes, giusto per fare un po' di nomi.

Registrato con strumenti e macchine vintage in diversi studi di registrazione italiani come il Posada Negro di Studios di Roy Paci, Le Officine Meccaniche a Milano, il Vertigo Studio di Siracusa e l'Alpha Dept di Bologna, “Un meraviglioso declino” vede la partecipazione di numerosi ospiti: il sodale Alessandro Raina, Sara Mazo (ex voce degli Scisma), Andrea Suriani dei My Awesome Mixtape, i cori di Lucia Manca e Grazia Negro, i fiati suonati da Mirko Onofri della Brunori Sas e quelli arrangiati e suonati da Roy Paci, autore anche delle orchestrazioni.
Della produzione si è occupato Giacomo Fiorenza, recentemente premiato come miglior produttore artistico del 2011, già dietro la console per Paolo Benvegnù, Offlaga Disco Pax, Moltheni e I Cani (tra gli altri).

Un lavoro ambizioso e collettivo, che proprio dal vivo trova la sua forma più compiuta grazie a una band di cinque elementi che irrobustisce il suono e offre una dimensione diversa rispetto a quella del disco, con scalette che variano di serata in serata, cover e altre sorprese assortite.

BIO SALUTI DA SATURNO
Valdazze è la realizzazione di un sogno, forse utopistico. Una città costruita negli anni ’60 per iniziativa del Cavaliere Silvio Giorgetti, che l’aveva immaginata come località turistica per artisti, tanto da averla definita Il villaggio del cantante. Mirco Mariani, autore e leader di questa piccola e folleFlexible Orchestra Da Pianobar Futuristico Elettromeccanico che sono i Saluti da Saturno, colpito dalle scritte che tuttora costellano i muri delle strade delle province circostanti (Arezzo, Forlì, Cesena) indicandone la direzione, ha deciso di dedicare il suo nuovo disco a questo paese, a questo sogno realizzato a metà (a quanto pare, nessun grande cantante è mai andato a viverci).


Un disco di canzoni dolci e delicate, i cui testi, splendidi, tutti firmati dallo stesso Mariani, ci raccontano le mille sfaccettature dell’amore con un linguaggio semplice ma altamente lirico e poetico, accompagnato da una musica sognante, altrettanto apparentemente semplice ma in realtà complessa, costruita con gli strumenti più insoliti.

L’atmosfera tra il luna park e un carillon dello strumentale La giostra meccanica ci introduce in questo viaggio a Valdazze, in questo mondo di suoni delicati, come delicate sono la musica e il testo del lento canto d’amore Tra noi, in cui spicca la presenza di Vincenzo Vasi (anima della band di Vinicio Capossela) ai cori e xilofono. I trascorsi di Mariani con Capossela si manifestano più marcatamente in L’ultimo giorno d’estate, con i suoi strani strumenti (optigan, ondioline, glassarmonica, celesta, vibraphonette e pure un piano giocattolo) e un testo molto bello, per una canzone d’amore poetica e non banale, cantata da Bruno Orioli.

Atmosfera vagamente caposseliana che ritroviamo anche in Bianco divano, sarà per il theremin di Vincenzo Vasi (un vero genio, oltre che probabilmente il migliore ad usare questo strumento dal suono incantevole e magico) ma anche per la visione poetica del testo, lirica e semplice ad un tempo, e per quei rumori in coda che sporcano la melodia.

Molto riusciti anche i brani più ritmati, come la scura L’amore ritrovato, con una grande interpretazione vocale di Roberto Greggi, per raccontare ancora l’amore, perso e ritrovato, e un messaggio nella bottiglia che forse non arriverà, perso tra le onde del mare, oppure la già conosciuta Hotel Miramare(era presente nel primo disco degli Ex il cui Valerio Corzani è coautore) con i fiati che danno un tocco di tex mex alla Calexico, ancora Vasi al theremin eFrancesco Arcuri (altro musicista della band di Capossela) alla sega sonora.

Di contro, risultano intensi e emozionanti i brani più minimali come l’intimistaFrammenti di notte, eseguita solo in due (ma con che sfoggio di strumenti! Mariani ai tamburi e teste di moro e Christian Ravaglioli al duduk e pianoforte a cristallo), e la splendida Lontano, solo voce e piano, e i suoni del theremin di Vasi, un piccolo capolavoro di delicatezza pop, una grande canzone d’autore.

I suoni di questo lavoro ci riportano sovente ad un mondo cinematografico del passato, come accade nel brano che dà il titolo a tutto il disco, Valdazze, con le sue atmosfere da anni ’50, forse ricordi di un mambo ascoltato in un film con Alberto Sordi, atmosfera da film in bianco e nero, colorato splendidamente dagli strumenti di Mirco Mariani. E non sarà un caso la presenza di un brano espressamente dedicato al Cinema, un canto d’amore per quest’arte, contrappuntato con una serie di strumenti ricercati, insoliti e strani (dulcitone, celesta, carillon, cristallarmonio) che trasformano i rumori in dolci melodie.

Scopriamo così che si può fare musica anche con i bicchieri, che accompagnano i suoni delicati di una chitarra classica e un violoncello in un’altra grande canzone d’amore (La bocca tua), un testo splendido che si chiude, e chiude il disco, con una frase che ancora una volta colpisce per la sua semplicità e poeticità ("la pelle tua riflette ormai, la vita mia trascorsa sai, tra le braccia tue").

Il secondo disco dei Saluti da Saturno non è solo la conferma della bravura ed ecletticità del Mirco Mariani musicista, ma è soprattutto la prova delle sue qualità compositive nella scrittura di musiche e testi.